“Per tre cose vale la pena di vivere:
la matematica, la musica e l’amore”
Queste poche e significative parole, epigrafe scolpita nel tempo, svelano la cifra umana di Renato Caccioppoli, grande matematico partenopeo e figura di spicco del panorama culturale contemporaneo al quale, in segno di profondo rispetto ed ammirazione, si decideva per i motivi già citati di intitolare a lui il nostro sito: genio e sregolatezza, rigore e fantasia, ragione e struggente passione, fu uomo di straordinaria esuberanza e sfrenata vitalità, di intelligente e sprezzante ironia, ma severa intransigenza.
Nipote di Bakunin, il noto anarchico russo, ereditò dal nonno “l’amore per la matematica e per la musica, il fuoco della rivolta sempre acceso, il coraggio di combattere ogni battaglia, l’insofferenza per ogni dominio, la consapevolezza del primato della libertà e della pace”.
Non solo genio della matematica, ma personalità complessa e poliedrica: poliglotta (conosceva ben quattro lingue, sebbene preferisse esprimersi, anche con gli studenti, in napoletano schietto), con interessi nel mondo della politica, della letteratura (era un fine conoscitore della poesia francese), del cinema, con una passione viscerale per la musica (a diciassette anni suonava perfettamente pianoforte e violino, al punto che, conseguita da giovanissimo la laurea in matematica, fosse indeciso se proseguire nello studio di questa disciplina o dedicarsi
alla musica, diventando pianista o direttore d’orchestra) e infine un’alta credibilità sociale.
Anticonformista, convito liberale, manifestò il suo disprezzo per il fascismo con gesti di protesta eclatanti, sui quali si è costruita buona parte della sua fama di matematico sui generis. Gli episodi, in tal senso, risultano innumerevoli ed alimentano una aneddotica gustosa e mai banale. Tra questi, il più famoso è senz’altro quello che lo vede protagonista nel maggio del ’38. Una sera come le altre, si trovava in una birreria di Piazza Municipio, in dolce compagnia della sua amata Sara Mancuso, che sarebbe diventata, nel volgere di un anno, sua moglie; avvenne l’irruzione nel locale di un gruppo di gerarchi fascisti che decisero, obbligando il pianista, di intonare l’inno fascista. Profondamente irritato da tanta tracotanza, Caccioppoli reagì in maniera impavida e sprezzante: accompagnandosi al piano, rispose a tono cantando, con la sua Sara, la Marsigliese; rivolgendosi quindi alla platea, spiegando il significato dell’inno e l’importanza per un popolo di godere della propria Libertà, e
di difendere quel dono, il più prezioso di cui si possa disporre. Per evitargli il carcere, la sua famiglia si vide costretta ad invocarne l’insanità mentale, optando per il ricovero coatto (un anno), in un nosocomio specializzato nella cura di problemi psichiatrici.
In un’altra circostanza il Nostro fu visto camminare per le strade di Napoli tenendo un “virile” gallo al guinzaglio, col preciso proposito di mettere alla berlina Achille Starace, segretario del Partito Nazionale Fascista il quale, in omaggio alla “austerità del regime”, aveva diffuso una circolare in base alla quale si faceva divieto ai camerati di sesso maschile di condurre al guinzaglio cani di piccola taglia e in particolare cani bassotti. Il giorno successivo il provvedimento fu abolito!
Vera o falsa che sia la storia del gallo, e per quanto mitizzata la vicenda della Marsigliese (Ermanno Rea, in Mistero napoletano, ci propone un racconto leggermente diverso), tutti coloro che ebbero modo di conoscere in vita Renato Caccioppoli concordano nel dipingerlo come un personaggio fuori degli schemi, “istintivamente ribelle ad ogni conformismo e ad ogni forma di tirannia”, intransigente e scontroso, eppure dotato di un irresistibile fascino intellettuale. Bohemien ante litteram, delizioso causeur celebre per le sue battute al vetriolo, amabile guascone, intellettuale eclettico, Caccioppoli fu protagonista della vita culturale, politica e mondana della Napoli del dopoguerra, frequentando gli stessi salotti, gli stessi circoli, gli stessi caffè di La Capria, Ghirelli, Anna Maria Ortese, Patroni Griffi, Francesca Spada, Alicata: a Sorrento incontra Gide, che nel suo Journal ricorderà quegli “occhi così sfavillanti d’intelligenza”, frequenta Moravia ed Elsa Morante, si lega d’amicizia con Neruda ed Eluard. La sua notorietà non è limitata ai cenacoli intellettuali: quando di giorno percorre la strada che lo conduce da casa (Palazzo Cellamare) all’Università, quando, tirando fino all’alba, passa da un caffè all’altro, tutti riconoscono in quell’esile silhouette di dandy trasandato, ‘o prufessore, o anche, come comunemente soprannominato, ‘o genio.
Questi stessi tratti distintivi si ritrovano nella sua opera di matematico: dalla Teoria della Misura all’Analisi Funzionale, dalla Teoria delle Funzioni Analitiche alle Equazioni Ellittiche, le sue ricerche si contraddistinguono per originalità e profondità di pensiero. Come scrisse uno dei suoi allievi più brillanti, Carlo Miranda, in un commosso necrologio pubblicato subito dopo la sua tragica morte, Caccioppoli “non amava il lavoro di lima e di rifinitura, ma preferiva affrontare costantemente problemi nuovi e con l’intuito geniale di cui era dotato sapeva spesso precorrere i tempi aprendo nuove vie al progresso della scienza”. Questo già mirabile contributo assume un ulteriore significato alla luce del particolare contesto storico in cui matura: grazie a Caccioppoli, nonostante il lungo isolamento imposto dal Fascismo e dalla Guerra, la scuola matematica italiana riesce a sopravvivere ed anzi a fornire un sorprendente contributo alla comunità scientifica.
L’impegno politico fu sempre vissuto da Caccioppoli come un dovere morale ineludibile: l’amore per la libertà, la critica feroce delle convenzioni borghesi, l’insofferenza per l’arroganza e la stupidità del potere, gli derivavano forse da un inflessibile rigore intellettuale e, in particolare, della sua attività di matematico. Come ebbe modo di scrivere, un altro matematico ed intellettuale libertario, Laurent Schwartz, “la scoperta matematica, che dipende assai poco dall’autorità costituita, è di per sé sovversiva e sempre incline a infrangere i tabù”. Con molta probabilità fu la solitudine a spingerlo al suicidio. La solitudine di un genio che non avendo nient’altro da inseguire, si rinchiuse gradualmente nell’appartamento di palazzo Cellamare, un tempo affollato di amici e compagni, dove pure di recente erano passati Jean-Paul Sartre e Pablo Neruda e dove “eseguiva al pianoforte il suo Wagner chiedendo silenzio assoluto e arrivando a pagare il doppio dello stipendio alla cameriera perché non provocasse alcun rumore”.
La solitudine divenne la sua vera malattia. Il fumo, l’alcool, gli emarginati, con i quali a volte si intratteneva a bere e a scherzare, furono i suoi ultimi contatti con un mondo apparso sempre più inconsistente e distante dalla sua sensibilità e dalla sua genialità. Come ha scritto Gustaw Herling, che ebbe l’occasione di incrociare Caccioppoli in uno dei suoi vagabondaggi notturni, “era un monumento ambulante della solitudine e dell’isolamento, o meglio dell’autoisolamento. Mentre lo seguivo, lo superavo, l’osservavo dall’altro lato della strada [sentivo come] l’attrazione di uno specchio, senza però avere il coraggio di avvicinarmi troppo a quella scura superficie” .